Gradus in scena
OUVERTURE
Sala Verdi, Teatro Ariosto, Reggio Emilia – 3 ottobre, ore 20.30
Teatro Farnese, Parma – 5 ottobre, ore 21.00
Opera-performance, tra musica e corsa esistenziale, Ouverture è stato ideato da un team internazionale, composto dagli italiani Gaetano Palermo e Michele Petrosino (registi e coreografi) e dagli italo-argentini Giuliana Kiersz (librettista) e Fernando Strasnoy (compositore musicale). L’incontro tra i quattro è avvenuto durante Gradus. Passaggi per il nuovo, motivandoli a modificare le proprie proposte di partenza e a lavorare insieme su di un progetto comune.
Ouverture prende le mosse dalla pratica della corsa per trasformarla in metafora di una condizione esistenziale paradossale: quella di chi è in costante movimento, ma senza avanzare davvero, in fuga da sé stesso e dalla realtà che lo circonda. Cinque performer, correndo su tapis roulant, mettono in scena un allenamento vocale e corporeo ispirato alla struttura musicale della fuga barocca, con le sue variazioni, trasformazioni e sviluppi tematici. Il risultato è una rappresentazione corale e organica della fatica – fisica, emotiva ed esistenziale – che attraversa i corpi.
composizione musicale Fernando Strasnoy
libretto Giuliana Kiersz
regia e coreografia Gaetano Palermo, Michele Petrosino
consulenza linguistica e traduzione libretto Tatjana Motta
direzione musicale e preparazione vocale Laure Deval
soprano leggera Maria Clara Maiztegui
soprano lirica/drammatica Maria Giuliana Seguino
mezzosoprano Dominika Marková
baritono Xiaofei Liu
basso Gustavo Vita
Coproduzione Teatro Regio di Parma / Festival Verdi, Fondazione Teatri di Reggio Emilia / Festival Aperto

L’ULTIMO AMORE DEL PRINCIPE GENJI
Teatro Due, Parma
9-12 ottobre, ore 20.30
Ispirata a L’ultimo amore del principe Genji di Marguerite Yourcenar, tratta dalla raccolta Racconti orientali, la performance è una cerimonia atipica sul ricordare e il dimenticare, un tentativo di mappare i paesaggi mentali del ricordo e di capire come il suono possa evocare ricordi a lungo sepolti.
Alla base del racconto c’è il classico giapponese dell’XI secolo Genji Monogatari di Murasaki Shikibu, rielaborato dalla penna delicata di Yourcenar. Il fulcro di tutti i Racconti orientali è l’uomo che affronta una sorte capricciosa e precaria; così il principe Genji e la Signora-del-villaggio-dei-fiori-che-cadono sono messi alla prova dagli eventi e lottano per avere il controllo del loro destino, trovandosi costantemente di fronte all’ineluttabilità della morte. La loro vicenda è quasi uno studio sul desiderio e sull’oblio.
L’astrazione, la semplicità e, allo stesso tempo, la cura meticolosa nella scelta delle parole, elementi tipici della scrittura e dell’estetica dell’Asia orientale, creano un dipinto figurativo vivo, incentrato sui giorni più umani e vulnerabili del mito del Principe Genji: i suoi ultimi giorni. Per Genji, tutto – persone, oggetti, emozioni – ha una fine comune: la morte. L’unico modo per dare valore e significato alla vita è attraverso la memoria.
La storia che viene presentata si dipana come gli steli del desiderio: radicati profondamente nella terra, eppure forti nella loro sfida alla gravità. Le foglie, pur essendo legate alla terra, si rivolgono verso l’alto, verso il sole, a simboleggiare la tensione tra memoria e oblio. I personaggi della performance sono incarnazioni di lotte umane universali: rappresentano l’eterna tensione tra desiderio di vita e forze che ci radicano, ognuno di noi potrebbe essere il Principe o la Signora.
La performance è un viaggio di introspezione, un’esplorazione dell’arte dell’ascolto. Le parole, pur essendo essenziali, trascendono il loro significato per diventare ritmo, struttura e suono, aprendo nuovi mondi e rivelando verità profonde.
La storia viene narrata da un gruppo di artisti composto da musicisti, da un ensemble vocale e da performer, mentre una telecamera ha il potenziale per adottare sia il punto di vista del Principe Genji, sia essere il diario di viaggio de La-signora-del-Villaggio-dei-Fiori-che-cadono, con l’obiettivo di catturare l’essenza della realtà all’interno della storia e conferire una dimensione cinematografica a questi personaggi mitici.
L’ensemble vocale riflette la ricchezza e la complessità dell’esperienza amorosa femminile, fungendo non solo da narratore, ma anche da veicolo di sperimentazione vocale. Esplorando un’ampia gamma di tecniche, che spaziano dalle armonie polifoniche tradizionali agli esperimenti vocali d’avanguardia, e un vasto spettro di identità ed emozioni femminili. Attraverso questo dialogo intergenerazionale, l’ensemble vocale femminile diventa più di un semplice coro: si trasforma in una rappresentazione vivente delle molteplici fasi della femminilità. Un elemento centrale delle composizioni vocali è l’inserimento dell’iso vocale (ison), che porta con sé anche importanti connotazioni derivanti dal suo utilizzo nella musica ecclesiastica bizantina, dove viene impiegato per sottolineare la struttura modale del canto.
La signora-del-villaggio-dei-fiori-che-cadono incarna emozioni universali e senza tempo: passione, forza e il potere di resistere alla gravità. Lei cercherà di realizzare la propria storia, alla ricerca del creatore che le ha dato vita, anche a costo della sua stessa distruzione. Il suo viaggio simboleggia la lotta universale tra memoria e oblio, passione e moderazione. Si erge come un monumento vivente a tutte le donne che hanno amato e vissuto con desiderio, resistendo alla gravità che le lega al loro destino, spesso limitante. Eppure, in un momento cruciale, si libererà dai confini della narrazione, sfuggendo alla presa della storia per cercare il proprio destino, correndo nel mondo alla ricerca del principe, colui che inconsapevolmente le ha toccato l’anima con un semplice sguardo.
Il suo nome è il suo destino, è come se fosse nata per essere dimenticata, per condividere lo stesso destino dei fiori.
Un progetto creato da Marilena Katranidou
con Eirini Kyriakou, Aliki Atsalaki, Dimitra Kandia, Sara Bertolucci, Vasilis Trifoultsianis, Sotiria Koutsopetrou “Oros ensemble”
violino Irini Krikoni
violoncello Dimitris Karagiannakidis
bayan Kostas Zigeridis
kanun Vasilis Zigeridis
percussioni Kazuyio Tsunehiro
Scene e costumi Dido Gkogkou
Musiche originali Apostolos Koutsogiannis
Direzione coro e preparazione vocale Dimitra Kandia
Collaborazione drammaturgica Korina Vasileiadou
Video Karina Logotheti
Produzione Fondazione Teatro Due / Teatro Festival Parma

89 SECONDI A MEZZANOTTE
Teatro Farnese, Parma
17 ottobre, ore 21.00
89 secondi a mezzanotte racconta un mondo in crisi: un paesaggio arido, senza acqua e senza speranza, consumato e svuotato dalla noncuranza degli uomini.
In questo scenario una madre e suo figlio sono quasi giunti alla fine di un lungo viaggio. Il giovane porta sulle spalle l’anziana donna e, a prima vista, i loro corpi sembrano uno solo: un animale bizzarro a due teste con quattro gambe.
Stanno portando a termine un rituale, una tradizione della loro società: la madre, ormai troppo vecchia per essere un membro produttivo della comunità, verrà abbandonata sulla montagna più alta affinché muoia da sola. Entrambi conoscono il vero scopo del loro viaggio, ma non ne parlano.
L’ultima notte, poco prima di raggiungere la vetta, i due si fermano a riposare accanto a un albero secco. Mentre il figlio dorme, la madre viene sorpresa da tre figure femminili dalle sembianze animalesche. Il loro linguaggio è enigmatico, eppure sanno esattamente dove la madre sta andando.
Come fanno a saperlo? Sono streghe? Sono le Moire? Parlano sovrapponendosi evocano al tempo stesso una profezia e una scelta… ma sarà la profezia a rivelarsi inevitabile.
Allo scoccare della mezzanotte, madre e figlio affronteranno il loro destino.
89 secondi a mezzanotte è un’opera contemporanea in cui musica strumentale ed elettronica, voce, teatro e danza si intrecciano per interrogare e illuminare il tema al centro della nostra ricerca: il cambiamento climatico e il trattamento che la società riserva ai suoi membri più deboli o vulnerabili. Due questioni urgenti e altamente controverse nel mondo di oggi in cui si può individuare un elemento comune: la mancanza di cura e l’elusione della responsabilità.
L’opera è ambientata in un paesaggio desolato e arido, risultato della negligenza umana. C’è un solo albero, ma è secco, piegato dal vento e dal passare del tempo. Il tempo dell’azione è un tempo onirico: potrebbe essere un tempo ancestrale o un futuro così remoto da non poter essere nominato, abitato da esseri a metà tra umani e animali.
L’opera raffigura un rituale, un viaggio verso la morte intrapreso da una madre e un figlio incapaci di percepire la bellezza e la fragilità del mondo che li circonda, metafora di una civiltà autoreferenziale e slegata dalle emozioni. Le loro voci, simili a gocce d’acqua, si intrecciano in un dialogo intimo e ossessivo. Accanto a loro, due ombre sono onnipresenti: l’euphonium e la tuba, che amplificano questa furia crescente dal basso, fino a dominare quasi completamente il paesaggio sonoro. In questo ritmo si muovono tre presenze magiche – la danzatrice e i due interpreti strumentali – che offrono i propri corpi alla musica, incarnando il mondo in cui si muovono i protagonisti. L’elettronica incarna l’ambiente sempre più oppressivo che i personaggi stessi hanno creato, all’interno del quale si svolge la scena. Per migliorare la qualità immersiva dell’opera, gli spettatori vengono accolti dalla musica nello spazio della scena, grazie ad un sistema di ottofonia che avvolge il pubblico.
La scenografia vuole raccontare scenicamente lo spazio della desolazione in cui i personaggi si muovono. È uno spazio senza tempo, sospeso, che si riflette in una superficie che galleggia nel vuoto infinito. L’unico elemento concreto della scena è: un albero. L’albero è simbolo della vita, ma anche simbolo della tradizione che resta attaccata al suolo, attraverso radici forti e solide.
Musica Maria Vincenza Cabizza
Libretto e regia Lisa Capaccioli
Coreografia Daisy Ransom Phillips
Scene e costumi Francesca Sgariboldi
RIMM e sound design Davide Bardi
Soprano Maria Eleonora Caminada (Madre)
Controtenore Danilo Pastore (Figlio)
Danzatrice Daisy Ransom Phillips (Strega 1)
Euphonium Marina Boselli (Strega 2)
Tuba Fanny Meteier (Strega 3)
Produzione Fondazione Teatro Regio di Parma / Festival Verdi

IL SOLE S’ERA LEVATO AL SUO COLMO
Teatro Municipale Valli, Reggio Emilia
9 novembre, ore 18.00
Il sole s’era levato al suo colmo è il progetto ideato da un collettivo artistico romeno composto dai compositori Sanziana Dobrovicescu, Mihai Codrea e Lars Tuchel – quest’ultimo si occuperà anche della parte di live electronics durante lo spettacolo – con le scene di Alexandra Budianu, i costumi di Daniel Gavrila e la drammaturgia di Ioana Nitulescu.
Sulla scena, l’Ensemble Icarus, diretto da Dario Garegnani, con le voci di Felicita Brusoni (soprano) e Clara La Licata (mezzosoprano).
Liberamente ispirato al capolavoro letterario Le Onde di Virginia Woolf, tra soliloqui, dialoghi ed episodi, prendono vita i protagonisti del romanzo: Bernard, Susan, Rhoda, Neville, Jinny, Louis e l’enigmatica figura, nel testo solamente citata, di Percival.
Lo spettacolo intreccia suono e immagini in una struttura immersiva e avvolgente, in cui musica e scenografia si compenetrano reciprocamente. La grande scena – amplificata e funzionante come uno strumento musicale – circonda il pubblico, che si ritrova immerso in un’esperienza sensoriale totale. Il suono proviene da tutte le direzioni e angolazioni possibili, creando una fruizione dello spettacolo davvero unica e coinvolgente.
compositrice Sanziana Dobrovicescu
compositore Mihai Codrea
live electronics Lars Tuchel
scenografia Alexandra Budianu
costumi Daniel Gavrila
drammaturgia Ioana Nitulescu
con Ensemble Icarus
direttore Dario Garegnani
soprano Felicita Brusoni
mezzosoprano Clara La Licata
produzione Fondazione I Teatri di Reggio Emilia / Festival Aperto
